ALTRA SENTENZA FAVOREVOLE AGLI ABILITATI IN ROMANIA: IL TAR LAZIO SEZ.III BIS ACCOGLIE IL RICORSO AVVERSO I DECRETI DI RIGETTO MIUR DELLA ABILITAZIONE ED ANNULLA I PROVVEDIMENTI ILLEGITTIMI
Di particolare importanza la pronuncia del TAR LAZIO SEZ.III BIS depositata in data 16 novembre 2020, n° 11868/2020 di accoglimento del ricorso patrocinato dall’Avv. Maurizio Danza del Foro di Roma, a favore di altri abilitati all’insegnamento in Romania.
Il collegio della sezione era stato chiamato a pronunciarsi sull’annullamento, delle determinazioni del 27, del 28 agosto 2020 e dell’8 settembre 2020 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione – Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione, con cui sono state rigettate le istanze presentate dagli odierni ricorrenti tesa ad ottenere il riconoscimento in Italia dei titoli abilitativi dagli stessi conseguiti in Romania; della nota n. 5636 del 2 aprile 2019 pubblicata sul sito istituzionale, nella quale si precisa, tra l’altro, che: per la professione di docente non si applica il regime del riconoscimento automatico, ma il sistema generale che prevede la valutazione dei percorsi di formazione attraverso l’analisi comparata dei percorsi formativi previsti nei due Stati Membri coinvolti; con nota del Ministero rumeno dell’educazione del novembre 2018, a seguito di interlocuzione ministeriale, è stato chiarito che il possesso del certificato di conseguimento della formazione psicopedagogica costituisce condizione necessaria, ma non sufficiente al fine di ottenere la qualifica professionale di docente in Romania e che l’attestato di conformità degli studi con le disposizioni della Direttiva 2005/36/Ce sul riconoscimento delle qualifiche professionali per i cittadini che hanno studiato in Romania, al fine di svolgere attività didattiche all’estero, si rilascia al richiedente, solo nel caso in cui quest’ultimo ha conseguito in Romania sia studi di istruzione superiore post secondaria sia studi universitari; la formazione svolta dai cittadini italiani non è riconosciuta dalla competente autorità rumena ai fini della direttiva in questione.
I giudici della Sez.III BIS, ha accolto il ricorso patrocinato dall’Avv. Maurizio Danza, argomentando in particolare che “Ricorrono, quanto alla sottoposta vicenda contenziosa, i presupposti contemplati dal citato articolo 60 al fine di consentire un’immediata definizione della controversia mediante decisione da assumere “in forma semplificata”.
Al riguardo il Collegio intende uniformarsi al recente orientamento del Consiglio di Stato (sez.VI, n.1198/2020 e 2495/2020) il quale ha affermato che:
“- invero, l’argomento posto a base del contestato diniego si pone in contrasto con i principi e le norme di origine sovranazionale, i quali impongono di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che “la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. ad es. Cge n. 675 del 2018); pertanto, una volta acquisita la documentazione che attesta il possesso del certificato conseguito in Romania, non può negarsi il riconoscimento dell’operatività in Italia, altro paese Ue, per il mancato riconoscimento del titolo di studio – laurea – conseguito in Italia;
– l’eventuale errore delle autorità rumene sul punto non può costituire ragione e vincolo per la decisione amministrativa italiana; ciò, in particolare, nel caso di specie, laddove il titolo di studio reputato insufficiente dalle Autorità di altro Stato membro è la laurea conseguita presso una università italiana. Piuttosto, le Autorità nazionali sono chiamate a valutare la congruità delle formazioni conseguite all’estero, nei termini chiariti dalla giurisprudenza europea e sopra richiamati.
– in tale ottica, le norme della direttiva 2005/36/CE , relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, devono essere interpretate nel senso che impongono ad uno Stato membro di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione previsti da tale direttiva e rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che “la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. più di recente Corte giustizia UE , sez. III , 06/12/2018 , n. 675);
– per ciò che rileva nel caso di specie, va altresì richiamato l’art. 13 della direttiva 2013/55/Ue, che ha modificato la predetta direttiva 2005/36, rubricato condizioni di riconoscimento: “1. Se, in uno Stato membro ospitante, l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro permette l’accesso alla professione e ne consente l’esercizio, alle stesse condizioni previste per i suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’articolo 11, prescritto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio. Gli attestati di competenza o i titoli di formazione sono rilasciati da un’autorità competente di uno Stato membro, designata nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di detto Stato membro”. A propria volta il successivo comma 3 statuisce: “3. Lo Stato membro ospitante accetta il livello attestato ai sensi dell’articolo 11 dallo Stato membro di origine nonché il certificato mediante il quale lo Stato membro di origine attesta che la formazione e l’istruzione regolamentata o la formazione professionale con una struttura particolare di cui all’articolo 11, lettera c), punto ii), è di livello equivalente a quello previsto all’articolo 11, lettera c), punto i).” Pertanto, a fronte della sussistenza in capo a parte appellante sia del titolo di studio richiesto, la laurea conseguita in Italia (ex sé rilevante, senza necessità di mutuo riconoscimento reciproco), sia della qualificazione abilitante all’insegnamento, conseguita presso un paese europeo, non sussistono i presupposti per il contestato diniego. A quest’ultimo proposito, lungi dal poter valorizzare l’erronea interpretazione delle autorità rumene, il Ministero è chiamato unicamente alla valutazione indicata dalla giurisprudenza appena richiamata, cioè alla verifica che, per il rilascio del titolo di formazione ottenuto in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno”.
Inoltre il Collegio per quanto concerne il diniego di riconoscimento dei titoli abilitativi per il posto di docente di sostegno con la sentenza n.2828/2020 ha fatto presente che “la giustificazione del provvedimento di diniego, pur così integrata, si limita esclusivamente a richiamare, in astratto, le differenze che esisterebbero tra Romania ed Italia nel quomodo dell’erogazione del servizio pubblico dell’insegnamento di sostegno. Stando a quando sostenuto dal MIUR, invero, se nel primo Paese il sostegno interviene, in via esclusiva, nell’ambito di istituti speciali, nel nostro ordinamento, invece, gli alunni con bisogni educativi peculiari sono inseriti in scuole comuni ove vengono affiancati, nella loro attività formativa, da insegnanti di sostegno. Tale circostanza viene peraltro contestata dalla ricorrente facendo riferimento alla medesima legge romena oggetto di richiamo da parte del MIUR, ossia la n. 1/2011 dove, agli artt. 48 e 49, segnatamente, sarebbe precisato che in tale Paese il sostegno, oltre che in istituti speciali, possa essere erogato in modo integrato, mediante l’organizzazione dello stesso in classi speciali o attraverso l’inserimento di singoli individui o gruppi integrati in classi di massa. A parere del Collegio, tuttavia, il tema non è la perfetta coincidenza, o meno, tra l’ordinamento scolastico nazionale con quello rumeno, ma la possibilità che tale circostanza possa ergersi a nucleo centrale di un apparato motivazionale ex se idoneo a giustificare il rigetto, generalizzato e de plano, delle istanze di riconoscimento dei titoli di abilitazione al sostegno conseguiti in Romania dai cittadini italiani, senza che, come nel caso di specie, da tali provvedimenti traspaia il compimento di alcuna attività istruttoria protesa all’effettuazione di una verifica, effettuata in concreto, del livello professionale conseguito ai sensi della direttiva comunitaria 2005/36/CE, ovvero di una effettiva valutazione delle competenze individualmente acquisite, come ritenuto necessario dalla stessa CGUE già a partire dalla sentenza 13 novembre 2003 sul procedimento C-313/01, Morgenbesser, dove al par. 67.2 precisa: “È pertanto compito dell’autorità competente esaminare, conformemente ai principi stabiliti dalla Corte di giustizia di Vlassopoulou e Fernandez de Bobadilla, se, e fino a che punto le conoscenze certificate dal diploma rilasciato in un altro Stato membro e le qualifiche o le esperienze professionali ivi acquisite, insieme all’esperienza acquisita nello Stato membro in cui il candidato cerca l’iscrizione, devono essere considerate soddisfacenti, anche parzialmente, le condizioni richieste per l’accesso all’attività interessata”. Recentemente, peraltro, la sentenza n. 1198/2020 del Consiglio di Stato, nel richiamare la giurisprudenza della CGUE, ha ulteriormente precisato come “le norme della direttiva 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, devono essere interpretate nel senso che impongono di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. CGUE n. 675/2018). Sotto questo profilo, pertanto, deve ritenersi che l’atto del MIUR in argomento difetti di motivazione, atteso che non risulta possibile sussumere dallo stesso il compimento di valutazioni e comparazioni delle competenze della formazione sul sostegno conseguite dalla ricorrente in Romania, in distonia con quanto statuito dagli artt. 16, 17, 18 e 19 del d.lgs. n. 206/2007 e degli artt. 11 e 13 della direttiva 2005/36/CE, così come modificata dalla direttiva 2013/55/CE, ovvero dei richiamati precedenti della CGUE.”
Ciò premesso, il proposto gravame deve essere accolto, con conseguente annullamento dei gravati provvedimenti.